MAURO MOLLE
ICONOCLASS
IconoClass, tornando a noi…
Nell’epoca delle permissioni e dei divieti, degli eccessi e degli azzeramenti di ogni culto, della confusione come musica di sottofondo, nell’era reale e del virtuale l’artista è diviso tra individualismo e socialità, vero e plausibile. Il campo visivo è invaso da oggetti/soggetti registrati nella memoria e da piccole scoperte quotidiane, archeologia e contemporaneità condividono lo stesso spazio e lo stesso tempo d’azione: il nostro.
Tra verità e magica apparenza, Mauro Molle registra e interpreta moderni simboli come vecchie citazioni, miti “senza tempo” e “senza sangue”, emblemi trasfigurati in prodotti di consumo con vita breve: eroi nati e morti, prodotti presentati come totem (telefoni, computer, libri chiusi, tshirt brandizzate…) metabolizzati ma mai digeriti, sembrano balenare alla sua mente come spot pubblicitari astratti dal quotidiano. Sulla tela s’accendono flash multicolor di visioni/ossessioni, testimoni e tracce del presente e dell’evoluta specie che ad esso appartiene…
A cinque anni di distanza da quanto scritto nel mio corsivo, siamo sempre più dentro al Presente. Dentro, senza chiedere permesso. Siamo nel momento in cui tutto accade, per volontà o per coinci-denSa che non esiste. Dentro, nel momento in cui la Storia ci colpisce e il simbolo diventa emblema del Tempo, del contingente, feroce e a tratti atroce, Oggi.
Molle trascrive con l’olio, i suoi uomini appartengono all’evoluta specie del contemporary homo sapiens. Ibridi per scelta o per moderna condizione accolta: l’uomo e l’animale che lo rappresenta appaiono chiusi in una simbiosi pittorica così intima da rendersi impressione di una modifica compiuta del DNA o riscoperta della genesi del suo aspetto primordiale. Un’involuzione o la preghiera della più potente delle rivoluzioni: Molle sembra invitarci ad osservare per chiederci di riconquistare il senso del reale. Il senso originario dell’istinto non inquinato dalle ragioni. Quel senso noto al branco in cui è racchiuso il significato più profondo della parola comunità: uno con uno; non uno vale uno. Non uno contro tutti; non tutti contro uno. L’uomo, solo l’uomo conosce l’acrimonia che guida spietate battaglie di insensato potere: Istinto condannata ogni guerra che Intelletto sostiene.
Una condanna quegli aerei dipinti dietro i corpi geneticamente irrisolti che sfilano sulle tele e appaiono familiari, vicini. Gli uomini con teste d’animali dell’artista sono il riflesso di uno specchio posizionato nella stanza della nostra più intima natura… E dietro di noi, accanto a noi, sulla nostra testa va a caccia la legge del più forte.
Ancora una volta sulle tele di Mauro Molle possiamo leggere brevi storie del XXI Secolo, sempre più dettagliate: frammenti, ricordi, oggetti dell’oggi fossili del domani. Sogni nel cassetto e scheletri che dall’armadio cadono nelle strade…
Frontali e definite, in ogni tela si mostrano solide figure dipinte in primo piano, ben descritte. Nulla è lasciato al caso nonostante protagonisti, antagonisti e comparse si manifestano simultaneamente in opera unica, una gerarchia di dimensioni e posizioni stabilisce ruoli senza margine d’errore. Tutto sembra essere la proiezione delle fantasie e delle conoscenze del solo e unico protagonista della tela: il soggetto più grande. Le immagini che lo circondano sono “roba sua”, anche gli abiti sono solo i suoi, solo per lui, solo per preservare il suo ego. Le presenze, che intersecano o s’accostano a questa figura principale, sono nude… Sono parti, frazioni di corpi e appendici.
Alla giovane età di cinque anni, le piccole storie del contemporary homo sapiens di Molle s’addensano di quotidianità e di attualità. S’interroga l’artista, come deve, e domanda a noi mentre ci ritrae. Scappare da questo specchio è impossibile. Siamo l’IconoClass per eccellenza, quelli per cui l’immagine vale infinitamente più delle mille parole che non leggeremo. Siamo “l’abito del monaco”, ma pur sempre liberi d’indossarlo o farlo cadere… Quell’aspetto classico dei corpi dei soggetti eseguiti da Molle, che implica rimandi alla tradizione pittorica figurativa della cultura occidentale, è purissima strategia. È la mimesis che ci pone nella condizione di osservare con attenzione la contaminazione e l’innesto che ci verrà svelato entrando nell’opera e che consentirà l’accesso trionfale nel più vivido e livido palcoscenico della realtà…
Strati d’Arte Via Sicilia 133\135 00187 Roma mail: info@stratidarte.com web: www.stratidarte.com
Giudicare questa apparenza, un’apparenza che è parte e sostanza di ogni uomo contemporaneo, è uno stato e non una condizione. Il giudizio è il nostro “pane quotidiano” e sarebbe poco onesto omettere: siamo i prodotti perfetti. La concreta sostanza nata dalle profezie del Pop. Allora, quando tutto è definito Pop Art ora che nulla lo è, forse dovremmo interrogarci sulle radici. Tornare all’origine, come i mezzi uomini e mezzi animali di Mauro: tentare l’involuzione per la rivoluzione.
Flashback
L’opera e la vita sono le dualità che entrano in scena nella nostra nuova epoca della modernità. Il privato e il pubblico si alternano in un fenomeno di artificazione (splendidamente esplicitato dal grande Perniola) che non fa prigionieri.
Siamo i figli del boom economico, delle pubblicità progresso, delle azioni regresso…
Siamo i figli della Pop Art, non un suo prodotto ma la continuazione eccellente.
La generazione degli Anni ’60 ha eletto l’immagine a forza d’esempio e attorno ad essa ha costruito la sua comunità. Noi siamo gli orgogliosi frutti evergreen di un esperimento di fascinazione riuscito.
L’Indipendent Group (eccezionale fucina di artisti e intellettuali inglesi nata negli Anni ’50 di cui i maggiori esponenti furono gli artisti: Richard Hamilton, Nigel Henderson, John McHale, Sir Eduardo Paolozzi e William Turnbull; i critici: Lawrence Alloway e Rayner Banham e gli architetti: Colin St John Wilson, e Alison e Peter Smithson), aveva avvertito le vibrazioni di un tempo che stava per cambiare. Trovando decisamente poco utile la negazione di un accadimento ineluttabile, senza snobismo né saccenza, questi uomini avevano previsto e preannunciato il fenomeno in arrivo. Certo nessuno di loro sospettava che anche questo sarebbe stato riassunto in un’immagine unica esattamente come unica è l’immagine di un’icona. Il fenomeno a cui l’Idipendent Group ci preparava era Mr Andy Wharol.
Questo gruppo di artisti inglesi, attraverso incontri e pubblicazioni cadenzate (dal 1952 al 1955 data in cui il gruppo si è sciolto), si poneva l’obiettivo di prepararci ad una nuova gerarchia dei valori dell’immagine, un ordine che nulla toglieva alla cultura alta ma che spalancava la possibilità di una cultura altra, democratica e accogliente, e che per questo motivo non avrebbe lasciato indietro nessuno. Popolare appunto, non folcloristica. Con la medesima veridicità di qualunque altra dotta filosofia, solo con un raggio d’azione molto più ampio: il discorso Pop apre alla predicazione di massa. I rischi di interpretazione dell’icona erano già stati calcolati, annessi e connessi alla riproducibilità dell’immagine c’erano le variabili di ogni decodificazione: icona come simbolo/status/esempio o pura forma. Tutte valide possibilità, tutte incluse nel packaging.
Allora, tutto quello che vedi è falso nella stessa misura in cui tutto quello che pensi è vivo. I contemporary homo sapiens di Molle respirano tra vortici di icone e bagliori di nuove possibilità. La scelta è la preziosa opportunità evidenziata nel profondo della tela dell’artista.
La scintilla di un cambiamento è oggi unta dall’olio di un vate in blue jeans.
Romina Guidelli